13 Marzo 2025 ore 11.00 /13.00 Incontro con gli studenti dell’IC “ Archimede La Fata”…
10 Marzo 2025- Istituto Comprensivo “San Giuseppe Jato – San Cipirello”
9.00 -11.00
Scuola secondaria di 1°grado, San Cipirello, plesso “Caronia” classi 3A, 3B,3C,33D.
Vicepreside prof Antonino Moscarelli.
Cap. Niko Giaquinto, Vittorio Ferraro, M.llo Ord. Ct. Staz. San Cipirello.
11.30 – 13.30
Scuola secondaria di 1° grado, San Giuseppe Jato, plesso “Riccobono” classi
3a,3B,3C,3D,3E, vicepreside prof.ssa Francesca Ferrante.
Capitano Niko Giaquinto, Ct Comp. CC Monreale e FrancescoTroia, M.llo Ord. Ct
Staz. San Giuseppe Jato.
L’incontro è stato organizzato all’associazione Kaleidos CULTURA E NATURA
e dalla Fondazione Giuseppe Bommarito contro le mafie, ETS
– Ha introdotto e moderato gli incontro il giornalista Leandro Salvia.
Intervento di Leandro Salvia:
“Insieme a Salvatore e Francesca e con rappresentanti dell’Arma (valore aggiunto)
portiamo nelle scuole una storia che Lei, ha raccolto in un libro “Albicocche e Sangue”.
E’ un libro inchiesta ma anche, ritengo, un libro terapeutico …Francesca, oltre ad essere
la sorella di un App. dei Carabinieri Bommarito Giuseppe, ucciso dalla mafia, è psichiatra
e psicoterapeuta, quindi il suo mestiere è quello di trovare la chiave, la strada per lenire il
dolore, per dirimere quelle che, per ciascuno di noi, possono essere situazioni conflittuali
…Lei si è trovata a doverlo fare con e per se stessa se e la scrittura, come insegna la
sociologia e la psicologia, ha una funzione terapeutica che al può servire oltre a
raccontare i fatti, a curarci.
Sono certo che ciascuno di noi ha raccontato privatamente, in un diario, un proprio
dolore, dei propri pensieri e, attraverso la scrittura ha dato un ordine e, forse, anche un
senso alla propria sofferenza, laddove è stato possibile.
La scrittura serve a noi, ma serve anche agli altri; in questo caso il libro ha una doppia
funzione raccontare i fatti, informare, trasmettere e condividere il dolore, utile, quindi, sia
per chi racconta che per chi ascolta.
E’ questa una delle motivazioni per andare nelle scuole, incontrare gli studenti che
possono ascoltare i familiari delle Vittime delle mafia, Salvatore e Francesca e leggere le
pagine del suo libro scritte con sacrificio di ricerca,- Francesca fa anche un lavoro
investigativo importante, perché trova le fonti, ricostruisce un vuoto che si era venuto a
creare dopo il triplice omicidio, di via Scobar a Palermo.
Raccontare non per piangersi addosso, ma per far capire la brutalità della mafia e essere
empatici, comprendere il dolore subito dai familiari delle Vittime delle Mafie, dolore che si
può, come dice Francesca nel libro, addomesticare, imparare a gestire, trasformare in
impegno e testimonianza sociale, rivolta, soprattutto ai ragazzi che ripagheranno la sua
umana “Stanchezza ”affiancandola e diventando anch’essi “Testimoni di Memoria”. Gli
Studenti diffonderanno questa storia che diventerà patrimonio comune anche per la
comunità Jatina che ha avuto delle responsabilità, un ruolo in questa storia che è una
storia di mafia.
Nel libro Francesca parla di alcuni esponenti della famiglia Agrigento, della famiglia
Brusca, di Giovanni Brusca che hanno avuto un ruolo assolutamente non secondario nel
triplice omicidio.
E’ la storia dell’appuntato Giuseppe Bommarito, legata al nostro territorio e alla storia di
due capitani,- Basile e D’Aleo – entrambi uccisi dalla mafia che operavano nella
Compagnia CC di Monreale, una Compagnia che, come disse Sciascia, in quegli anni
sembrava non volere che ci fossero più carabinieri a Monreale!
“Oggi, continua, il giornalista, la presenza a questo tavolo del Capitano e dei Marescialli,
sono la dimostrazione che lo Stato, pur subendo dei colpi fortissimi e il sacrificio di
Uomini che non sono sostituibili, – una vita non si può sostituire mai con un’altra, – è
presente e che se possiamo parlare in questa scuola di mafia, vuol dire che le cose sono
cambiate dalle nostre parti.
Se oggi un giornalista può raccontare questa storia, evidentemente nella coscienza
collettiva, finalmente, ha trovato spazio quell’idea di antimafiosità che per essere concreta
e reale deve significare fare una scelta quotidiana di stare dalla parte giusta. Come?
Dimostrando di non essere disposti a subire la prepotenze da alcuno, di non cadere
nell’errore di girarsi dall’altra parte, di essere in grado di non alimentare il sistema
mafioso. Nei nostri territori, pur essendoci un lavoro importante di contrasto alla mafia,
alcuni sono interessati, lo sappiamo, allo spaccio di droga e purtroppo il target è
rappresentato da giovani… allora bisogna avere sempre il coraggio di stare dalla parte
giusta, bisogna scegliere senza sé e senza ma… questa mafia si serve dei ragazzini
perché non sono imputabili perché sono più facilmente monetizzatili, quindi è
indispensabile la collaborazione di tutti.
La scelta di fare il carabiniere non è coraggiosa di per sé ma è chiaramente stare dalla
parte dello Stato…anche se non tutti i carabinieri lo sono!
Giuseppe era un carabiniere che ha saputo anche distinguerci dagli stessi carabinieri .
Erano anni difficili in cui, come vedremo, firmare una relazione di servizio in cui mettevi il
nome e cognome delle persone che hai incontrato, poteva significare firmare autocon
danna a morte.Certo Giuseppe poteva non farla quella relazione di servizio, come magari
altri fecero alcuni suoi colleghi,( non sappiamo il motivo di questo comportamento e
quindi, non sta a noi giudicare) però sicuramente omisero di fare qualcosa, lasciandolo
Solo e lui, per aver fatto il suo dovere, viene ucciso.
Questo non significa che fare il proprio dovere ti porta alla morte, no… significa che
se a fare il proprio dovere è una persona sola, è esposta al rischio… se invece si è
in tanti, se ciascuno fa la propria parte, quando c’è qualcosa che non va ed ha il
coraggio di denunciare, il pericolo si riduce al minimo.
Ricorda che quando lui era un ragazzino denunciare, rischiava uno degli insulti più
diffusi : “Buscetta” (era un collaboratore di giustizia deciso di collaborare con lo Stato)
quel nome si indicava un disvalore, cioè si faceva l’infame, cioè chi raccontava le
vicende della mafia era un poco di buono…però coloro che dicevano sei “Buscetta
per insultare” sono diventati collaboratori di giustizia, quando hanno dovuto
scegliere un po’ stretti, perché l’arresto significava salvare la propria vita hanno
deciso di collaborare e tra loro ci sono nostri concittadini, compaesani.
Oggi le cose sono cambiate e se possiamo raccontare questa storia è perché anche
San Giuseppe Jato come buona parte della Sicilia sta facendo i conti col proprio
passato e con la propria storia. L’app.Bommarito operava in questi territori che
conosceva bene e che forniva al capitano Basile e poi al cap. D’Aleo informazioni utili per
colpire i mafiosi del territorio…mettendo a rischio anche la propria vita.
IL suo sacrificio non è stato un semplicemente fatto per una comunità che non lo
meritava, ma per una parte della popolazione, che si spera fosse la maggior parte, alla
quale garantire la possibilità di essere liberi, per i vostri genitori i vostri nonni e per tutti
Coloro che rimanevano muti, per paura di ritorsione o morte..ù
Quel sacrificio non doveva essere necessario e se noi oggi ci troviamo una comunità
diversa, se siamo liberi di scegliere da che parte stare, se oggi a San Giuseppe Jato, a
San Cipirrello e in tutto il comprensorio di Monreale si respira aria di Libertà lo
dobbiamo grazie a figura di questo spessore.
Capitano Niko Giaquinto
Ricorda che quando era ragazzino la distanza che le comunità tenevano con l’arma dei
carabinieri era abituale e non era facile avere come migliore amico un carabiniere; lui
ricorda che non era facile neanche per i figli dei carabinieri inserirsi nei nostri territori e
che oggi le cose sono cambiate e lo dimostra questa stessa testimonianza.
Lui era appena nato, 42 anni fa, quando il capitano D’Aleo cadeva sotto i colpi del fuoco
nemico mafioso, insieme all’Appuntato Giuseppe Bommarito e Pietro Morici,
ciononostante avrebbe tante cose che potrebbe dire, ma non basterebbe il tempo a
nostra disposizione e quindi si limiterà a stimolare delle riflessioni tra i ragazzi.
Come rappresentante dell’Ordine, insieme al Maresciallo presente, sollecita gli studenti
a ricordare che loro hanno un’importante responsabilità che è quella di costruire la
società del domani, e che, diventando cittadini adulti con ruoli e compiti diversi avranno
l’onere, ma anche l’onore di costruire il mondo futuro.
Esorta a iniziare da subito, tra i banchi di scuola, per diventare cittadini modello non
solo a chiacchiere, ma attraverso principi e fatti dimostrabili nel quotidiano, rispettandoli
loro stessi: aiutando il prossimo, combattendo l’indifferenza che uccide come il silenzio
o girandosi dall’altra parte, fare finta che non è successo nulla o non immischiarsi in
questioni in cui si è spettatori.
Sottolinea che è un atteggiamento molto grave che li rende complici delle ingiustizie cui
assistito, pur senza partecipare in modo attivo, per esempio l’assistere a un reato anche
se non grave, essere testimoni di di una piccola ingiustizia che può essere un calcio ad
un muro, una risposta scortese data ad un compagno.
Non denunciare quelli che si ritengono fenomeni di scarsa importanza li rende complici e
responsabili.
Quindi ricordarsi sempre di combattere questa mentalità dell’indifferenza che, per
tanti troppi anni, è stata la linfa vitale della mafia e delle realtà ad essa connesse, da qui
l’appello a denunciare sempre le ingiustizie, che possono causare morti.
Chiede di prestare attenzione alle testimonianze che seguiranno, di Coloro che vivono e
convivono con un dolore che non potrà mai essere sanato, un dolore che loro non hanno
scelto,- mai nessuno nessuno sceglie di vivere con un dolore – che la mafia ha imposto
loro e a tutti gli altri parenti delle vittime di mafia che sono cadute in quegli anni.
Conclude dicendo che, anche se i tempi sono cambiati, si deve continuare a costruire,
che non possiamo mai accontentarci, che bisogna sempre puntare a quello che ancora
non si è raggiunto; ringrazia per l’attenzione e dichiara di essere sempre disponibili per
qualsiasi richiesta.
Intervento di Salvatore
Racconta che nonostante gli anni, quasi 42 anni, riesce a ricordare il dramma che ha
vissuto , anche se riesce a parlarne da poco tempo e … si rende conto dell’importanza di
non dimenticare e testimoniare, anche se il dolore riaffiora come allora.
Ricorda che la scuola elementare si trovava vicino la caserma che conosceva molto
bene, perché capitava spesso di entrarvi, aspettando che suo padre finisse di lavorare per
rientrare insieme a casa.
Racconta del padre, del suo carattere allegro che cambiadel padre, dopo la morte del
Cap.Basile, del quale conserva vividi ricordi.
Rievoca l’affetto verso lui e il fratello minore, la loro vita familiare serena, fino a pochi
giorni prima dell’attentato….momenti in cui la commozione raggiunge livelli quasi
insostenibili, la sua voce si spezza e cerca di evitare di piangere.
La sua mente è lucida, ricorda e racconta la tragedia vissuta la sera del 13 giugno 1983
fino a quando l’immagine riportata sul giornale di Sicilia “mio padre a terra in una
pozza di sangue” distrugge il desiderio struggente che quanto appreso la sera
verbalmente, fosse soltanto un incubo e realizza che suo padre non tornerà,
casa… non potrà abbracciarlo, sentire la sua voce che è sparita dalla sua mente.
Da quel momento lui e la sua famiglia dovrà fare i conti e andare avanti con l’ASSENZA
del PADRE.
Ringrazia i presenti per l’ascolto attento e chiede agli studenti di RICORDARE, non
soltanto suo Padre, ma tutti Coloro le persone che hanno dato la vita, per la nostra
libertà contrapponendosi alla mafia, al potere mafioso sperando che un giorno di si
possa sconfiggerla definitivamente.
Intervento di Leandro
Interviene introducendo il mio racconto, la mia spasmodica ricerca di cercare la verità
sulla uccisione di “Giuseppe, per dimostrare che non era morto per caso”, per casualità,
per essersi trovato in macchina, quel 13 giugno del 1983.
Intervento di Francesca
Saluto con affetto i presenti e ringrazio Leandro per il sostegno e la vicinanza, negli ultimi
due anni che mi hanno permesso di conoscere i luoghi frequentati da Giuseppe e, forse
anche amati… conosceva molte persone soprattutto, credo, a San Giuseppe Jato. Alcune
volte, in estate, avevo sentito dire a Giuseppe che doveva recarsi a San Giuseppe Jato
per fare degli acquisti comprare qualcosa … facendo riferimento a delle persone che lui
conosceva e, come ho potuto constatare durante un incontro in questi luoghi,
conoscevano lui.
Ho avuto la gioia di parlare con delle persone di una certa età che mi hanno parlato di
Giuseppe… raccontare questa storia in un territorio che lo ricorda , senza ostilità, accanto
ai Capitani Basile e D’Aleo, mi commuove.
Racconto del suo arrivo nella comp. CC della Stazione di grisù e subito dopo a Monreale,
dove nel 1978 arriva, da Palermo il Cap. Basile, riporto l’orgoglio di Giuseppe di
accompagnare un Ufficiale deciso a contrastare il potere mafioso, in quel territorio.
Giuseppe faceva l’autista degli Ufficiali della Comp.CC di Monreale, mettendo a loro
disposizione la conoscenza sia dei santuari mafiosi che degli uomini di mafia.
Racconto alcuni aneddoti riferitemi, in relazione a questa collaborazione di reciproca
fiducia, trasformata nel tempo, in importante amicizia, che Giuseppe riferisce con
orgoglio.
Basile non solo era uno che credeva che la mafia esistesse, ma cercava i mafiosi e aveva
iniziato la sua attività investigativa già da Palermo con collaborando con un’altra vittima
importante della mafia Boris Giuliano.
Riporto un episodio che non è libro, riferitomi da una delle mie sorelle, in riferimento
all’apertura del max processo a Palermo; lei partecipa assieme a Salvatore bambino e
mia cognata, tantissimi i mafiosi dietro le sbarre.
A Totò Rina cui viene chiesto se avesse conosciuto il capitano D’Aleo che risponde, con
disprezzo che quel cognome gli era nuovo un nome nuovo…
Michele Greco detto il Papa, ben vestito, camicia, cravatta, provocatoriamente chiede alla
giuria se avessero letto i giornali durante quegli anni che riportavano i banchetti da lui
organizzati, nella sua tenuta, cui partecipavano diversi personaggi illustri… prefetti,
questori,Generali dei Carabinieri, Vescovi.
Se lui fosse stato mafioso, come potevano questi personaggi, sedere a tavola con lui…a
forse si potevano considerare mafiosi anche loro!!!
I miei parenti non parteciparono più.
Parlo anche di Don Peppino Garda, il capomafia di Pioppo, della sua arroganza, con la
tacita collusione delle Forze dell’Ordine Morealesi…descritto da un giornalista coraggioso
Mario Francese, ucciso dalla mafia, nel suo interessante articolo “l’escalation di Don
Peppino Garda”.
La storia di alcuni sequestri importanti a Monreale, che Giuseppe aveva vissuto con
ricerche incessante insieme altri Colleghi.
Erano anni difficili, 70/80, gli uomini che combattevano e cercavano in qualche modo di
ostacolare questo strapotere, questa strafottenza mafiosa erano molti, ma quasi tutti
verranno uccisi uno dopo l’altro, quasi selettivamente.
Erano stai uccisi perché erano Eroi? NO Perché lasciati soli e quindi vulnerabili.
Racconto quanto poco sapessi del fenomeno mafioso, quando da laureata arrivo a
Milano; sottolineo il dovere di informarsi, di conoscere la storia dei nostri territori…La
storia che racconto, anche nel libro, sembra lontana nel tempo a molti di loro, in realtà è
sempre attuale perché la mafia è più forte di prima …colpisce in una maniera diversa, non
fa sangue per le strade, come afferma il prof. Nando Dalla Chiesa nella recensione al libro.
Se fossi più giovane farei il capo popolo, raccoglierei adepti in tutte le scuole e insieme a
loro, direi no alla mafia, alla diseguaglianze sociali, al lavoro che manca o/è sottopagato,
al diritto a curarsi nella propria terra, no a questo esodo verso l’estero di giovani laureati…
basta alla pre potenza, ad un sistema che alimenta lo spopolamento della nostra terra,
ed i vecchi genitori che rimangono soli.
Esorto i giovani ad avere coraggio, a non rassegnarsi…la speranza mi ha sostenuto per
quasi 40anni e sono riuscita a trovare un documento per fare luce sull’esecuzione mafiosa
verso Giuseppe, il cui sacrificio il fratello poteva essere una storia dimenticata, non per i
familiari.
Sollecito a fare domande, a chiedere delucidazioni, a dare suggerimenti, esprimere le
loro impressioni..
Domande.
• Seguono numerose e puntuali altre le domande, alle quali rispondo in modo
esauriente
• Li esorto a leggere il mio libro, guidati dai loro professori, aggiungendo che non è un
libro di lettura qualunque, vi sono descritte pagine di dolore ma anche pagine di
storia e pagine di tenacia di coraggio che noi meridionali siciliani abbiamo…
perché è vero che è una terra di mafia, ma è una terra di antimafia.
• Come ti sei sentita quando hai appreso la notizia dal Telegiornale?
• Cito la strage di Ciaculli e il ritorno in Sicilia di uomini siciliani che, in prima linea,
hanno combattuto la mafia, pagando con la soppressione della vita, la mafia.
• Insieme si vince:
• Non ho mai provato voglia di vendetta che genera odio e morti