LA PIOVRA NON PAGA MAI
PALERMO Otto anni di indagini a vuoto. Un altro delitto eccellente, quello del capitano dei carabinieri Mario D’ Aleo, 29 anni, ucciso insieme ai due carabinieri della scorta, si avvia a rimanere nel libro nero dei misteri di Palermo. Il sostituto procuratore Giuseppe Pignatone ha chiesto il proscioglimento dei 17 boss della Cupola accusati dell’ omicidio. Non luogo a procedere per Michele Greco e il fratello Salvatore, per Pippo Calò, per i superlatitanti Totò Riina e Bernardo Provenzano…. Perché? Perché la storia della mafia raccontata dai pentiti si ferma al 1982. Una data che fa da confine alla guerra contro Cosa nostra: mancano gli aggiornamenti e i riscontri precisi sugli ultimi anni dell’ organizzazione, tanto più rigorosi dopo l’ approvazione del nuovo Codice. I grandi pentiti, Buscetta e Contorno, non conoscono le vicende più recenti delle cosche. E non sempre bastano le rivelazioni di Francesco Marino Mannoia. Dall’ 83 in poi sulla Cupola, sui nomi dei boss seduti al vertice della mafia spa, non ci sono certezze. Così, non ci sono prove su quei 17 uomini della commissione che avrebbero dato l’ ordine di uccidere il capitano D’ Aleo. Una sola convinzione emerge dalla requisitoria, il movente è quello della vendetta delle cosche: L’ ufficiale ha pagato con la vita il suo impegno al servizio delle istituzioni. D’ Aleo venne assassinato il 13 giugno dell’ 83: da poco guidava la stazione di Monreale, prendendo il posto del capitano Emanuele Basile, assassinato nell’ 80. Lo accompagnavano i due giovani carabinieri di scorta, Pietro Morici e Giuseppe Bommarito: tutti massacrati, nel giro di pochi secondi, dai proiettili di tre pistole di grosso calibro. Nella camera ardente il cardinale Pappalardo sussurrò con sconforto all’ Alto commissario De Francesco: Come al solito…. E con sconforto oggi la donna che stava per sposare il capitano commenta la richiesta di proscioglimento: Non è certo una bella notizia. Noi non ne sapevamo nulla: in questi anni non abbiamo più avuto contatti con i magistrati. Antonella Lorenzi, insegnante in una scuola di Palermo, dopo il delitto ha scelto il silenzio, non ha rilasciato dichiarazioni: Il mio dolore non serve a cambiare le cose. Meglio impegnarsi, a scuola, con i ragazzi per cercare di cambiare qualcosa. La Cupola dunque svanisce. Fino all’ 82 tutti gli omicidi commessi sono attribuiti all’ organo supremo di Cosa nostra, ai suoi componenti, identificati con nome e cognome. Dopo, gli elementi di accusa si dissolvono. Il contributo dei pentiti, determinante per capire gli assetti di potere all’ interno della mafia, si ferma. Rimangono solo le parole di Francesco Marino Mannoia. Ha raccontato il pentito: Per quanto riguarda l’ omicidio del capitano D’ Aleo non ho ricordi precisi ma mi risulta che l’ omicidio non fu altro che la prosecuzione del delitto del capitano Basile. Di quest’ ultimo delitto gli autori sono sicuramente Vincenzo Puccio, Giuseppe Madonia ed Armando Bonanno. Le rivelazioni del pentito, che riconducono il delitto alle indagini del capitano D’ Aleo contro la famiglia Madonia e Brusca, non trovano però riscontri precisi. Nel maggio dello scorso anno una perizia balistica accertò che il proiettile calibro 44 magnun esploso contro il capitano era stato sparato da una pistola che verrà ritrovata, cinque anni dopo, vicino al corpo dell’ ex sindaco Giuseppe Insalaco. Che hanno in comune i due delitti? C’ è un esile filo che riconduce alla famiglia mafiosa dei Madonia. Lo stesso clan che riappare nel delitto del poliziotto Natale Mondo, e in altri gravi fatti di sangue. Ma è troppo poco per tirare delle conclusioni. E lo stesso succede quando i riflettori si puntano sulla famiglia di Bernardo Brusca, il capo del clan di San Giuseppe Jato. Gli investigatori sottolineano l’ impegno del capitano D’ Aleo deciso a sgominare il clan, ricordano le minacce che il patriarca della cosca, Emanuele, gridò in piazza contro il capitano urlandogli di liberare il nipote arrestato. In quell’ occasione D’ Aleo confidò i suoi timori alla fidanzata. Ma non è sufficiente a incriminare i capi di Cosa nostra.
di UMBERTO ROSSO