Skip to content

LA STESSA ARMA PER INSALACO E D’ ALEO

PALERMO Era stato uno dei primi delitti eccellenti, uno dei pochi i cui esecutori sembravano assicurati alla giustizia. Ma adesso l’ inchiesta sull’ uccisione del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, a sorpresa, si riapre. Smentendo lunghi anni di indagini, e tre condanne della Cassazione all’ ergastolo, l’ ultimo dei pentiti di mafia Francesco Marino Mannoia accusa: Ad uccidere il colonnello, la sera del 20 agosto del ‘ 77, fu Leoluca Bagarella. Guidava un commando composto anche da altri uomini. Proprio nei confronti del luogotenente di Luciano Liggio, che è già stato condannato al maxi-processo di Palermo, il giudice istruttore Ignazio De Francisci ha adesso firmato un mandato di comparizione. Lo interrogherà nei prossimi giorni nel carcere di Spoleto, dove Bagarella cognato del superboss latitante Tommaso Riina è detenuto. Mannoia conferma quanto già avevano detto sul delitto del colonnello sia Buscetta che un altro pentito importante, Antonino Calderone. Una svolta improvvisa per uno dei delitti più misteriosi di Palermo. E, mentre si riapre il caso Russo, da Palazzo di Giustizia filtra una indiscrezione sull’ omicidio di Giuseppe Insalaco: una perizia consegnata pochi giorni fa conferma che la morte dell’ ex sindaco fu decisa dalla cupola di Cosa nostra. Infatti la stessa calibro 38 Special che sparò quel 12 gennaio dell’ 88 era già stata utilizzata, cinque anni prima, per assassinare il capitano dei carabinieri Mario D’ Aleo, massacrato insieme ai due uomini di scorta. Un’ arma sola dunque per questi due omicidi, una pistola che porta agli stessi killer e agli stessi padrini e mafiosi. Questa pista gli investigatori avevano immediatamente individuato, mettendo a confronto i bossoli ritrovati, e adesso i nuovi esami balistici confermano ufficialmente quella prima ipotesi. La Smith & Wesson che proveniva dall’ arsenale delle cosche, è l’ elemento di prova che i magistrati aspettavano: per il delitto Insalaco sono scattati così gli avvisi di garanzia contro alcuni boss della commissione di Cosa nostra. L’ uomo che aveva denunciato i comitati di affari, il sindaco che svelò ai magistrati i retroscena degli appalti, pagò dunque con la propria vita il conto ai boss. Per l’ assassinio del colonnello Russo, colpito a morte insieme all’ amico Filoppo Costa mentre passeggiava poco lontano da Corleone, sono stati condannati quattro pastori. Una sentenza ormai passata in giudicato. La Corte d’ assise ha riconosciuto colpevoli, condannandoli all’ ergastolo, Salvatore Bonello, e i fratelli Vincenzo e Rosario Mulè; 27 anni sono stati inflitti invece a Casimiro Russo, l’ uomo al centro della vicenda giudiziaria. Proprio lui infatti si accusò del delitto, coinvolgendo gli altri tre. Una perizia psichiatrica lo giudicò malato di mente, ma nonostante tutto ciò la versione ha finito con il reggere ai tre gradi di giudizio.

Torna su