PALERMO – C’ è un processo qui in Italia che è uno scandalo senza fine. E’ un processo di mafia, uno di quelli che hanno aggiustato fin dal primo grado, uno di quelli che è stato cancellato a più riprese dalla Cassazione, uno di quelli che si è lasciato dietro una scia lunghissima di morti e di tragedie. E’ la storia del “caso Basile”. Dopo quattordici anni, lo Stato italiano non ha ancora giudicato l’ ultimo imputato dell’ omicidio di un capitano dei carabinieri. Da undici mesi, c’ è un curioso ping pong tra la Cassazione e la Corte di Assise di Caltanissetta, una controversia sull’ autorità giudiziaria che deve processare Michele Greco detto “il papa”, uno dei boss accusati di avere ordinato il delitto. Deve giudicarlo la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta come sostiene la Cassazione o deve giudicarlo la terza sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo come sostiene la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta? Sulla competenza territoriale si pronuncerà la Corte Costituzionale. E il “caso Basile”, quattordici anni dopo marcia verso il suo dodicesimo processo. Lo scandalo è chiuso in 42 chilogrammi di carte, tutti i documenti dall’ istruttoria di Paolo Borsellino fino all’ ultima sentenza annullata dalla Cassazione. Quasi mezzo quintale di rapporti giudiziari, di informative, di pronunciamenti intorno all’ omicidio di un giovane ufficiale dei carabinieri. ‘ Un appuntamento galante’ Emanuele Basile era un capitano, il comandante della Compagnia di Monreale. La notte tra il 4 e il 5 maggio del 1980, tre sicari lo uccisero nella piazza del paese. I carabinieri furono abili e fortunati: catturarono i killer. Erano tre figli di famiglia, tre mafiosi: Armando Bonanno, Vincenzo Puccio, Giuseppe Madonia. Li trovarono a poche centinaia di metri dal luogo del delitto trenta minuti dopo. Dissero che erano lì “per un appuntamento galante con delle signore”. E aggiunsero che non avrebbero mai fatto i nomi delle donne, “perché erano sposate”. Il giudice istruttore Paolo Borsellino indagò un anno e li rinviò a giudizio per l’ omicidio. Cosa Nostra si mosse subito per aggiustare quel processo. Davanti a Borsellino cominciarono a sfilare falsi testimoni che costruirono tre alibi perfetti per i sicari. Qualcuno tentò di minacciare i medici legali. Qualcun altro provò a ricattare i periti. Tutto fu inutile. I tre entrarono in Corte di Assise la mattina del 7 ottobre del 1981. Il processo sembrava segnato. Fino a quando il presidente della Corte – secondo quanto raccontarono 10 anni dopo alcuni pentiti – fu avvicinato da alcuni “amici”. Il magistrato, Carlo Aiello, a sorpresa sospese il processo e rinviò tutti gli atti a Borsellino. Ordinò anche una perizia su “alcune tracce di nitrati” trovate sotto le scarpe dei sicari. A Palermo, la chiamarono “la perizia del fango”. Il processo fu rinviato fino alla primavera del 1983: i tre killer ricevettero la grazia che aspettavano. Il secondo processo durò pochissime settimane. Bonanno, Puccio e Madonia furono assolti. Incredibile la motivazione della sentenza del presidente della Corte Salvatore Curti Giardina: “Paradossalmente bisogna concludere che meno problematico, se non addirittura certo, sarebbe stato il convincimento della Corte in presenza di un più ristretto numero di indizi…”. I tre sicari furono liberati e inviati al confino in Sardegna. Dopo sei giorni, fuggirono. Tornarono in libertà: innocenti e latitanti. Un anno dopo, a Monreale, i corleonesi uccisero il capitano Mario D’ Aleo, il successore di Emanuele Basile. E un anno dopo, a Palermo, condannarono in Appello i tre sicari di Basile. Ma il caso non era chiuso. In Cassazione, i tre tornarono un’ altra volta innocenti. Fu Corrado Carnevale a cancellare l’ ergastolo. Il pentito Mutolo disse poi che Carnevale “aveva cercato il pelo nell’ uovo”. Il processo Basile ricominciava da zero. Da un’ altra Corte di Appello di Palermo. Era presieduta da Antonino Saetta. I tre sicari furono condannati un’ altra volta al carcere a vita. E, condannato a morte, fu il presidente Saetta. Una faccia da cinese Il giorno che in cancelleria depositarono il dispositivo della sentenza, rubarono un’ auto. E su quell’ auto, in una sera di settembre del 1988 viaggiarono i killer di Antonino Saetta. Fu ucciso con il figlio Stefano. Il processo Basile tornò in Cassazione. E, ancora la prima sezione, annullò la sentenza per i tre killer. Uno di loro, intanto era morto. Sparito. Era quello con la faccia da cinese: Armando Bonanno. Un altro, Vincenzo Puccio, fu catturato. E all’ Ucciardone lo uccisero fracassandogli il cranio. Restava vivo solo Giuseppe Madonia, il figlio di don Ciccio, il patriarca della Piana dei Colli. Anche lui, anni dopo, finì in galera. E fu condannato definitivamente all’ ergastolo in Cassazione nel febbraio del 1992. Più intrecciata la storia del processo Basile per i mandanti del delitto, i boss della Cupola. Qualcuno (come Totò Riina) fu condannato, qualcun altro (come Bernanrdo Provenzano) fu assolto. In attesa di giudizio definitivo, è rimasto solo Michele Greco. Il 24 gennaio del 1994 iniziò a Caltanissetta l’ “ultimo” processo contro il “papa”. Ma con un’ ordinanza, la Corte di Appello rispedì in Cassazione il “caso Basile”. La Cassazione ha rimandato a Caltanissetta il processo. Adesso, il difensore del “papa” sostiene che deve essere la terza sezione della Corte di Assise di Palermo a giudicare il suo cliente. I giudici di Caltanissetta ritengono che la richiesta “non è manifestatamente infondata”. E ieri, hanno inviato le carte alla Corte Costituzionale. Il processo Basile continua.
ATTILIO BOLZONI